Osservazioni norme tecniche di attuazione relative al

Piano Tutela Acque della Regione Marche

 

Art. 9 Si chiede la piena accessibilità da parte di qualsiasi “cittadino” ai dati e alle informazioni detenute in modo sistematico “sia da parte di gestori pubblici che gestori privati”; questi ultimi gestendo una risorsa pubblica o concessionari di un pubblico servizio, sono soggetti alle stesse richieste da parte dei cittadini ai sensi della L.241/90 e D.Lgs 195/ 2005”.

 

Art. 17 comma 3

Il codice di buona pratica agricola deve essere applicato in tutto il territorio e non solo raccomandato nelle aree non sensibili; tutti i regolamenti comunali contengono indicazioni per il corretto uso dei letami.

Si sta assistendo invece oggi ad un abbandono di letami nei terreni agricoli realizzando cumuli che rimangono nel campo anche per oltre un anno, decisamente in difformità del codice e dei rispettivi regolamenti urbani; il rischio è che la continua lisciviazione prodotta dalle precipitazioni meteorologiche, porti ad un aumento dell’inquinamento dei corpi d’acqua limitrofi, da parte delle sostanze organiche e non, contenute.

 

Art. 19 comma 6

Inserire il raggio di 200 metri anche per i pozzi privati, che abbiano un uso pubblico dell’acqua potabile, tipo agriturismi o simili.

La regione si attivi per una corretta informazione sul rispetto delle zone di tutela agli agricoltori che continuano ad irrorare i campi di fitofarmaci fino a ridosso delle recinzione dei pozzi per  acque per uso potabile, mettendo a rischio la risorsa, inoltre si attivi per un eventuale risarcimento per mancata produzione.

 

Art. 20 Comma 1

Si chiede di attenersi in maniera esclusiva a quanto riportato all’art 94 comma 5 D.Lgs 152/2006 e cioè:

riportare la frase “per gli insediamenti e le attività preesistenti sono adottate le misure per il loro allontanamento”.

Comma 2 Inserire  “tutte” le limitazioni previste dall’art 94 comma 4 D. L.gs 152/2006, con l’esclusione del punto n)  da sostituire col il completo divieto di pascolo.

 

Art. 22 comma 6

Si propone di estendere la fascia di tutela, quella già prevista dalla legge 431/1985.

 

Art.29

Si propone di togliere il punto 15 in quanto ormai è chiaramente definita la questione della definizione di acque pubbliche.

Aggiungerei il divieto di scaricare tramite condotta direttamente nel corpo idrico, onde facilitare eventuali controlli di polizia fluviale.

 

Art. 54 DMV

 

Premessa

A mio parere in tutto il piano non si sono ravvisate indagini finalizzate alla oggettiva valutazione del valore minimo necessario alla vita fluviale nel suo insieme, tanto che il problema viene affrontato e risolto mediante l’introduzione di una serie di algoritmi “matematici” che, fondando ogni presupposto su elementi valutati sommariamente, determinano risultati a volte incongruenti o addirittura incomprensibili.

Manca una effettiva indagine biologica dei corpi idrici, per arrivare ad un risultato adeguato alla vita fluviale (Si veda a tal senso ciò che sta facendo la provincia di Rimini).

Purtroppo non sembra che siano state riscontrate indagini volte alla verifica delle conseguenze che i valori, così calcolati, inducono su altri ambiti ambientali e/o necessità sociali. Ma sulla base di un’ottica di sviluppo sociale sostenibile, il compromesso sul DMV deve essere necessariamente trovato secondo il concetto del migliore utilizzo sostenibile della risorsa, così che necessità di produzione di energia rinnovabile, non siano a priori penalizzate a favore di altri obiettivi di minor rilevanza.

Penso corretto, un metodo di calcolo per la determinazione del DMV che individui e “penalizzi” tutte quelle forme di prelievo dal corpo idrico con maggior impatto ambientale; invece il PTA così come formulato, non tiene conto della natura della derivazione d’acqua (uso potabile, irriguo o per forza motrice) come se ciascuna tipologia fosse identica all’altra.

Ai fini ambientali, non si può neanche trascurare l’apporto che l’uso motrice ai fini di produzione elettrica, può dare l’acqua: una energia rinnovabile ancora utilizzabile per piccole derivazioni.

E’ pur vero che il PEAR prevede per quanto riguarda la produzione idroelettrica il solo recupero delle traverse esistenti, di fatto però non ne affronta le problematiche inerenti.

Perciò nel Piano acque non si dovrebbe a mio avviso penalizzare i possibili recuperi, di  tutte quelle strutture motrici seppure antiche e fatiscenti ancora esistenti e magari con l’impianto di ingegneria civile facilmente riutilizzabili (nella sola provincia di Pesaro sono stati censiti 386 mulini raccolti in una recentissima pubblicazione “Ruote sull’Acqua” di Gianni Lucerna edito dalla provincia di PU) trasformabili per la produzione idroelettrica.

Vale a tal proposito ricordare quanto stabilito dal Tribunale Superiore delle Acque nella sentenza n° 13 del 02/02/1995 dove, in buona sostanza, si afferma che introdurre nella nozione di paesaggio ogni profilo di carattere ecologico ed ambientale finirebbe per dilatarne il concetto oltre misura, “così da non distinguerlo da quello, ben più ampio, di ‘ambiente’, con la conseguenza di confondere la specifica funzione di tutela paesaggistica, disciplinata dalle leggi n. 1497 del 1939 e n. 431 del 1985 alla luce dell’art. 9 della Costituzione, con altre funzioni di tutela ambientale” che concernono interessi pubblici distinti da quello paesaggistico, la cui valutazione rientra nella sfera tecnico-discrezionale di competenza di altre autorità. (tratto dalla nota prot. 309 del 29 giugno 1999 del Servizio Legislativo della Regione Marche)

Alcuni esempi, per tutti, evidenziano l’incongruenza del metodo adottato:
nel PTA per la sezione del Furlo, stazione Met 15, alla diga ENEL sono stati assegnati ben 1.428 l/sec per D.M.V.; se l’ENEL da oggi rilasciasse immediatamente in alveo a valle della presa (perché di questo si tratta!) detta portata, a partire dal mese di giugno, sino a tutto ottobre nel fiume ci sarebbe una portata inferiore con un minimo di soli 300-400 l/sec. Pesaro resterebbe senz’acqua potabile. E pensare che con i due terzi di quella portata possono essere annualmente prodotti in più non meno di 2.500.000 kWh. E Pesaro forse non resterebbe neanche a secco.

Esaminando i valori unitari per km2 afferenti derivazioni idroelettriche della provincia di Pesaro confermano tali stranezze, per i valori del D.M.V.:

 

Come si può rilevare, tutti i bacini presentano un’altezza media equipollente e le superfici sono modeste. Quindi siamo in corsi fluviali tutti montani.

Appaiono singolari i casi ID 318 e ID 18 che, a fronte di un’identica altezza media rilevante, della stessa superficie di bacino imbrifero, alimentati l’uno dalle sorgenti del Carpegna, l’altro da quelle del Catria, con un indice di precipitazione molto elevato per il secondo, il D.V.M. assegnato risulta diverso e comunque inferiore a 2 l/km2.

Ancor più eclatante è la definizione della ID 28 che, pur avendo praticamente le stesse caratteristiche della corrispondente SIMN, risulta assegnato un D.V.M. pari a 3,1 l/km2 contro i 2,4 della SIMN. Fra l’altro non appare verosimile una diminuzione di 3 m dell’altezza media del bacino della SIMN stante il fatto che le due superfici sono identiche. E le due stazioni sono di fatto coincidenti!

Tuttavia, a mio parere, risulta mancante un coefficiente che tenga in opportuna considerazione la “tipologia della derivazione idrica” che si deve concedere.

Infatti sarebbe opportuno fare un preciso distinguo fra le tipologie di prelievo e precisamente:

a)      Derivazione uso potabile

b)      Derivazione uso irriguo (o altro)

c)      Derivazione per forza motrice (oggi ad uso prevalente idroelettrico)

E’ chiaro che queste tre forme di prelievo rappresentano situazioni e condizioni completamente diverse fra loro, fermo restando che, comunque, avviene un attingimento da un corso d’acqua superficiale che ha un seguito diverso fra i casi esposti.

Nel caso a) l’acqua viene prelevata e restituita in minima parte (gli studi in questo campo sono discordi e danno una percentuale variabile dal 50 al 60%).
Quindi viene consumata la risorsa vera e propria con l’impoverimento del corso d’acqua che risulterà perenne. Fra l’altro la quantità restituita sarà inquinata tanto da dover essere trattata nei vari depuratori (ove esistono e se funzionano).

Nel caso b) l’acqua viene prelevata e restituita in minima parte al corso (solo per osmosi attraverso i suoli). Si assiste al vero prosciugamento dei fiumi ed in alcuni casi si sono rinvenuti piccoli pesci nei campi irrigati.

Nel caso c) l’acqua viene prelevata e, dopo un tratto più o meno breve, restituita integralmente al fiume.
Di norma l’acqua che esce dal luogo di utilizzazione risulta essere più pulita (assenza di corpi trasportati) e più ossigenata per effetto delle macchine per il recupero dell’energia di forza motrice (quali i ritrecini dei molini a palmenti o le turbine idrauliche FRANCIS (la più usata) e PELTON (Casteldelci), OSSBERGER (Mercatello sul Metauro, Liscia di Fano) in particolare e più fresca poiché la sua energia potenziale solo in parte si trasforma in calore, essendo sottratta tutta quella recuperata dalle turbine.

In concreto, quindi, della risorsa idrica si utilizza unicamente l’energia potenziale posseduta e non la risorsa idrica vera e propria.

Ritengo importante anche una considerazione sulla vita fluviale: nell’acqua vivono innumerevoli microrganismi che contribuiscono alla purificazione delle acque, i quali dopo un certo percorso, tendono a migliorare la loro qualità (ovviamente in assenza di ulteriori inquinanti). I prelievi a) e b) asportano assieme all’acqua anche detti microrganismi che vengono distrutti. Ciò non avviene assolutamente con le derivazioni di tipo c).

Da questa breve disamina della casistica, emerge la ridotta incidenza sui corsi d’acqua dei prelievi del caso c), mentre sono più forti gli effetti indotti dagli altri due casi a) e b) ed appare ovvio che la valutazione del D.V.M. debba tenerne conto. Così come si deve tener conto della lunghezza del tratto fluviale sotteso dal canale di alimentazione dell’impianto idroelettrico.

Dall’esame delle tavole relative alle concessioni idroelettriche (grandi e piccole) risulta che queste captazioni rappresentano ben l’86% del totale, ma tutti sappiamo benissimo che quelle risorse vengono restituite integralmente agli alvei fluviali.

I dati OCSE 2003 danno per l’Italia, per quanto riguarda i consumi idrici, il 70 % all’agricoltura.

Un recentissimo studio della Lega Ambiente da per le Marche, un consumo irriguo pari al 60% ; a mio avviso, è necessario controllare meglio questo settore.

 

Art. 54

Inserire l’opportunità di effettuare dei monitoraggi per individuare i valori naturali da mantenere, impegnando sul campo biologi, ittiologi ed altre espressioni professionali specifiche. Indipendentemente dal valore che ne uscirà, più basso o più alto, almeno sarà validamente motivato.

Art. 56 – comma 6)

E’ evidente l’incongruenza con lo spirito impostato all’articolo precedente. Si avverte inconfutabilmente che l’intento è quello di verificare eventuali possibili ulteriori incrementi del D.V.M., e non certo quello di ridurli. Gli estensori del PTA ritengono di aver introdotto una valutazione de minimis del problema, mentre si ritiene, invece, che la stessa sia particolarmente esagerata.

Art. 57 – comma 4)

Questo comma appare preoccupante. Mentre al comma 2), nonché al comma 5) del successivo art. 58, si prevedono apparati di regolazione (e misura) che debbono essere mantenuti sempre efficienti, in questo caso ci si affida alla statistica ed alla probabilità, nella speranza che alla fine il D.M.V. non sia inferiore a quello stabilito.

Purtroppo le Guardie volontarie del WWF intervenendo sul controllo irriguo hanno potuto riscontrare che non vengono applicate le indicazioni contenute nei disciplinari, né tanto meno i periodi di uso irriguo; si irriga quando d’estate c’è la calura, in pieno mezzogiorno (50% acqua persa per evaporazione, shock termici alle colture), in contemporanea ad altre concessioni irrigue  ed i fiumi sono in vero regime di scarsità; in questo senso non si può lasciare alla statistica e alla probabilità.

Art. 58 – comma 3)

Usare lo stesso criterio comune per tutti.

Art. 64

Potenzialmente positivo, anche se è finalizzato ad avere più acqua nei fiumi.

Si chiede di specificare cosa si intende per “riduzione interrimento”e come debba essere effettuata la “manutenzione periodica”, con quali mezzi.

Art. 65 – comma 2)

Discutibile lo  svuotamento dell’invaso proprio nel periodo invernale quando le acque sono più copiose.  La manutenzione per una piccola centrale in autoconduzione, è appunto il regime di magra. Eventualmente inserire la richiesta di autorizzazione dell’operazione al fine di valutarla nell’ottica più ampia di tutto il bacino.

Art. 67

Per le centraline idroelettriche  si chiede che siamo utilizzati, ai fini della misurazione delle portate i dati di centrale dell’acqua turbinata e delle potenze prodotte, essendo tecnologicamente impossibile usare contatori volumetrici.

Per quanto riguarda i settore agricolo si consideri quanto già espresso, cioè è il settore di maggior consumo di acqua.

I verbali redatti dalle guardie WWF in provincia di Pesaro mettono in evidenza il non rispetto dei quantitativi , né delle prescrizioni contenute nel disciplinare.

A tal fine ritengo di particolare necessità, che “su tutte le concessioni”,  comprese tutte quelle irrigue, siano installati idonei contatori di misura delle portate emunte, senza distinzione alcuna in litri/al secondo. Già nel passato lo chiedeva espressamente la L.319/1976, successivamente la L.36/1994, il D. Lgs 275/1993  ed ora l’art 95 del D.Lgs 152/2006 art.95 comma 3. Si tenga presente che in tutti i disciplinari attualmente in vigore, sia quelli emessi dalla regione prima, che quelli delle province poi, per uso acque pubbliche, dopo il 1989,  riportano la frase: “sono installati idonei dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi in corrispondenza dei punti di prelievo e restituzione. I risultati sono trasmessi, con frequenza almeno semestrale, all’autorità concedente .”

Lo scopo è quello di contabilizzare la risorsa, ma se non la misuriamo come pensiamo di riuscirci? Fra l’altro l’inserimento del contatore, permetterebbe il controllo del quantitativo totale destinato alla concessione,  oltre il quale il concessionario rischia l’applicazione del codice penale per furto di acque. Potrebbe essere un meccanismo, che permetta un uso più discreto della risorsa e accorgimenti diversi della irrigazione a pioggia.

Se mai si possono escludere le aziende agricole a carattere domestico, i cui riferimenti normativi sono ben definiti.

Dal momento che già la legge nazionale prevedeva l’applicazione dopo 180 giorni, non si ritengono necessari ulteriori slittamenti attuativi, come quelli previsti nel PTA.

Si chiede di definire quanto espresso all’articolo 96, comma 4, subcomma 3 del D.Lgs 152/2006 e cioè i casi di “particolare tenuità”, non definiti nella norma  statale.

Si ritengono definibili, a mio avviso, portate di “particolare tenuità” al di sotto di 1/2 litro al secondo.

 

Sant’Angelo in Vado 17.07.08

Per il WWF Marche

Giuseppe Dini

 AMBIENTE