Associazione Culturale “Centro Studi Giuseppe Colucci” Penna S. Giovanni

Convegno 14 ottobre 2007 contrada Saline di Penna S. Giovanni

“Dalla terra e dal lavoro dell’uomo “salviamo l’acqua”

 

L’acqua : una emergenza ed una responsabilità

 Tre punti di premessa importanti.

L’acqua è un bene comune che appartiene alla vita, in particolare all’umanità.

Occorre per questo, assicurarne la gestione collettiva come uso, protezione e conservazione al fine di assicurare la vita di tutti gli esseri,  uomini, altre specie viventi ed anche per le generazioni future. Non la pensano così le classi dirigenti dei paesi occidentali: tutti ne riconoscono l’importanza fondamentale per la vita, ma dal momento che essa subisce una serie di processi tecnologici via via più complessi, essa deve essere considerata un bene economico, sul quale va determinato un prezzo commerciale e permetterne il possibile uso privato.

L’acqua diventa quindi un bene di mercato ed è assoggettata alle sue leggi  e meccanismi, superiori ad altre considerazioni etiche quali la stessa solidarietà.

Di fatto nessuno però può negare la sua unicità, legata alla sua insostituibilità. Dell’acqua non possiamo farne a meno, né possiamo sostituirla con succedanei  simili, che non esistono.

Proprio per la sua non sostituibilità, l’acqua bene fondamentale, non può essere oggetto a regolamentazioni seppure parziali, né tanto meno subire un valore di mercato.

Per assicurare l’accesso all’acqua in quantità e qualità, si sostiene che siano necessari ingenti capitali reperibil,i solo sul settore privato. Le esigenze di competitività, si sostiene, devono tendere a liberalizzare il mercato, giustificando così la gestione privata dei servizi idrici.

Per quanto riguarda la presumibile superiorità della gestione privata dell’acqua, come efficienza, trasparenza, qualità, in Marocco, Filippine, Bolivia, Francia , Inghilterra ha dimostrato che chi ne ha maggiormente avuto i benefici, sono state proprio le grandi imprese multinazionali private dell’acqua, a scapito degli stessi cittadini. In effetti poi, la riuscita resistenza, diremmo culturale nei confronti della privatizzazione, ha dimostrato che vi sono soluzioni alternative possibili.

 

L’accesso all’acqua è un diritto umano e sociale imprescrittibile.

Il fabbisogno stimato dei 40/50 litri pro capite giornalieri, certamente non può essere ridotto ad un bisogno di mercato, ma è un diritto umano universale e imprescrittibile.

Oggi 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua, 2 miliardi non hanno servizi igienici, 3 miliardi non depurano le acque reflue.

Una situazione che rischia di peggiorare a causa del continuo deterioramento della risorsa a motivo di:

·        Agricoltura intensiva che chiede eccessive quantità d’acqua per l’irrigazione (ciò comporta perdita d’acqua e salinizzazione delle falde e dei terreni)

·        Inquinamento industriale delle acque, scorretta o mancata gestione dei rifiuti.

·        Perdite nella distribuzione, produzione, uso della risorsa potabile

·        Sconsiderata costruzione di grandi dighe, sono 40.000 in tutto il mondo

·        Cattiva gestione del territorio,  che provoca disastri naturali, provocati per lo più dall’intervento umano.

In Italia quasi un terzo della popolazione nel sud e nelle isole, non ha acqua in maniera regolare e sufficiente. Tra i 15 paesi europei da noi, la situazione è la peggiore.

Fornire ogni persona umana della congrua quantità d’acqua, diventa un dovere fondamentale della società, qualunque siano i costi.

Una gestione integrata e sostenibile dell’acqua ricava la sua efficacia dall’assunzione globale e integrante  dell’insieme dei costi, cioè si deve assicurare collettivamente tutti i costi destinati alla raccolta, consumo, conservazione, distribuzione e riciclaggio delle acque, con lo scopo di garantire l’accesso a tutti.

La stessa sopravvivenza di molte persone è legata ad un accesso di base dell’acqua. La non disponibilità di un minimo di quantità e di qualità dell’acqua porta circa il 70 % delle malattie nei paesi sviluppati e l’85% in quelli poveri. Ora, muoiono 10.000 persone al giorno per la mancanza o la pessima qualità dell’acqua. E si continua a non pensarci.

Evitare di trasformare l’acqua in “oro blu”

L’acqua disponibile sulla terra è sempre più qualitativamente ridotta a causa degli sprechi e degli abusi che ne facciamo. Essa è comunque ancora sufficiente per essere garantita a tutti i popoli.

Nei paesi poveri la non disponibilità dell’acqua è causa della povertà, mentre nei paesi sviluppati è il modello saccheggiatore della risorsa, che la rende  meno disponibile.

Abbiamo visto che più di 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile; nel 2015/2020 tale cifra salirà intorno ai 4 miliardi su una popolazione di 8 miliardi, col conseguente aumento tariffario per cui solo 2 miliardi potranno averla in maniera regolare sia dal punto qualitativo che quantitativo.

Più le risorse diminuiscono, ma sarebbe meglio dire deteriorando, più le persone che gravitano sullo stesso bacino acquifero si mettono in conflitto, per avere più acqua  e le migliori fonti. Tali fatti giocano un ruolo importante; se ci pensiamo un attimo i conflitti più emergenti ora , sono quelli del medio oriente ed in Africa, dove abbiamo le risorse d’acqua più scarse.

L’argomento fondato sulla mancanza di acqua, non è che una mezza verità; analisi diverse mettono in evidenza invece altri fattori:

·        rivalità etniche, razzismo e xenofobia

·        nazionalismi

·        lotte per l’egemonia regionale, politica, economica, culturale.

Si pensi solo al conflitto che è legato al bacino del “Giordano”,  che vede gli stati arabi contro gli israeliani. L’acqua è solo un aspetto delle varie sfaccettature di questo conflitto. Stessa cosa per i bacini del Tigri ed Eufrate, tra Turchia e Iran, Iraq, Siria; tra India e Pakistan per le acque del fiume Indo; tra Egitto e Sudan in merito al grande fiume Nilo.

L’esperienza di questi 20 anni dimostra che se vogliamo far diventare l’acqua uno strumento di solidarietà e di pace  è necessario ostacolare vivamente:

·        I signori del denaro, che  vogliono trasformare l’acqua in una merce da conquistare

·        I signori della guerra,  che la usano per le loro ambizioni di potenza

·        I Signori della tecnocrazia, che vedono solo gli aspetti di prestazione, secondo i canoni della logica del rendimento del capitale privato.

 Riflettiamo su alcuni fatti

L’acqua ricopre il 71 % del pianeta. Circa il 97 % dell’acqua è salata non utilizzabile ed il 3% è acqua dolce; se a questa togliamo quella dei ghiacciai e nevi polari lo 0,26 % è acqua utilizzabile per l’uso umano come dire che su 100 litri  ¼ di litro .

Il ciclo idrogeologico  rappresenta il percorso che l’acqua fa nella biosfera dall’altezza di 15 km, ad una profondità di 5 km. L’acqua dolce è rinnovabile proprio grazie a questo ciclo. C’è chi ha calcolato che grazie a questo, ogni anno evapora dagli oceani uno strato di acqua spesso 1,4 metri.

Quasi un terzo delle precipitazioni, circa 34.000 km cubi, ritorna nuovamente al mare; questo deflusso è appunto la risorsa rinnovabile ed è la quantità disponibile e utilizzabile da parte dell’uomo in un anno.

Ne stiamo già usando il 35% per industria, irrigazione, usi domestici, 19 % per vari altri bisogni; le falde più facili da usare sono state già sfruttate e si tenta di captare acqua sempre più in profondità. fino ad arrivare ai cosiddetti bacini fossili, falde immaganizzate nel lontano passato, non più soggette a ricarica.

Secondo i dati Fao Il consumo di acqua è così  suddivisibile: agricoltura 70%, industria 22%,  8 % uso domestico a livello mondiale.

Prelievi di acque per i principali usi, 1998. Totale 56.2 miliardi di mc (Fonte OCSE, 2002) Agricoltura 46%, Produzione elettrica (raffreddamento) 19%, Forniture idriche pubbliche 18%, Industrie manifatturiere 17%.

 

Lungo la vecchia Flaminia nei presi di Cantiano questa estate è stata utilizzata l’acqua di un bacino scoperto negli anni ’50 da Enrico Fermi e che è stato utilizzato per rilasciare nel torrente Burano, 300 litri di acqua al secondo, acqua fossile, per ricaricare dal Metauro 30 km più a valle, le prese del potabilizzatore di Pesaro.

Per ritornare ai 34.000 km cubi se questa quantità fosse distribuita in modo equo, potrebbe garantire circa 8000 metri cubi all’anno a persona. Ma è sull’equo che ci sono le disparità.

Il consumo di acqua è decuplicato  dal 1900 ad oggi. Si prevedono aumenti di popolazione del 45% nei prossimi 30 anni, ma l’aumento di acqua potrà essere solo del 10 %.

Il cambiamento climatico in atto, è responsabile del 20 % della diminuzione globale di acqua.

Secondo le Nazioni Unite 3/5 dei 4,4 miliardi di persone dei Paesi in via di Sviluppo, non hanno infrastrutture igieniche e quasi 1/3 non ha accesso all’acqua potabile.

L’agricoltura, di fronte ai millantati problemi di fame mondiale, sia per l’uso della chimica (prodotti fitosanitari), sia per la diffusione sempre maggiore dei sistemi irrigui, garantisce, non solo le necessità , ma anche il surplus di eccedenze (Cina e India). Nonostante questo, a livello mondiale, la superficie pro capite di terreni irrigati si sta riducendo. Le attività irrigue  hanno raggiunto il loro massimo da non più di un secolo, cioè da quando le grandi dighe hanno permesso la deviazione di enormi portate. Il tasso di irrigazione dopo aver raggiunto il picco di 48 ettari per mille abitanti nel 1978, nei successivi dieci anni esso è sceso del 6%, attestandosi su 45 ettari/abitante con la tendenza a scendere che sta accelerando. Molti terreni irrigati stanno aumentando il tasso di salinità,  tale da impedire ulteriori coltivazioni e le rese di quelli fertili è calata del 30%. L’uso di pesticidi e fertilizzanti, portano conseguenze già note, ma nessuno pensava che l’irrigazione portasse una lunga serie di sorprese; essa se non gestita correttamente, provoca eccessiva impregnazione dei terreni, impoverimento e inquinamento della risorsa, col conseguente aumento di salinità; tutti questi effetti possono distruggere la fertilità stessa del terreno.

Si stima che, circa il 60 % dell’ acqua prelevata per irrigazione, non giunga mai la coltura agricola; condutture difettose, serbatoi perdenti o scoperti da non limitare l’evaporazione, canali a cielo aperto, annaffiatori automatici con difetti di puntamento, permettono un notevole spreco della risorsa, ritornando però alla falda  trascinandosi i sali che scioglie nel terreno. I guai peggiori non avvengono in quei terreni drenanti, ma in quelli più poveri con elevate percentuali di argille; un esempio il lago d’Aral che ha perso il 75% della sua superficie dal 1960 ad oggi; tutto ciò a causa principalmente del piano di coltura intensiva del cotone, per i quali furono deviati i due principali immissari. Era infatti così abbondante la necessità di acqua, che i pianificatori arrivarono a dichiarare che l'enorme lago era ritenuto uno spreco di risorse idriche utili all'agricoltura e, testualmente, "un errore della natura" che andava corretto.

Dal WWF “Obiettivo acqua. Dossier sullo stato delle acque in Italia” 2003 su www.wwf.it, emergono molte soluzioni alternative e possibili per migliorare la produttività dell’irrigazione ottimizzando l’uso della risorsa, tra cui, a solo titolo esemplicativo:

a) di carattere tecnico:

· Applicazione delle metodiche della agricoltura biologica e biodinamica volte al

risparmio globale, con l’adozione di una serie di azioni generiche e specifiche in tal

senso;

· livellamento del terreno, per distribuire l’acqua in modo più uniforme,

· erogatori efficienti per distribuire l’acqua uniformemente.

· erogatori con dispostivi di precisione, per ridurre le perdite causate da vento ed

evapotraspirazione,

· irrigazione a goccia, per ridurre l’evaporazione e altre perdite d’acqua, aumentando

al contempo le rese unitarie.

 

b) di carattere gestionale:

· migliore programmazione temporale dell’irrigazione,

· migliorare l’uso dei canali per erogazioni calibrate,

· distribuzione dell’acqua, secondo necessità delle colture e non della struttura di distribuzione,

· metodi di aratura e lavorazione del terremo per conservare l’acqua

· migliore manutenzione dei canali e dei fossi,

· riciclo dell’acqua di drenaggio.

c) di carattere istituzionale:

· introdurre tariffe che favoriscano il risparmio idrico,

· adeguare le infrastrutture rurali,

· migliorare la formazione e promuovere la diffusione.

d) di carattere agronomico:

· selezionare colture con resistenza alla siccità,

· selezionare colture con elevate resa di crescita in rapporto al litro di acqua evaporato,

· introdurre /reintrodurre la pratica delle consociazioni,

· redigere un idoneo piano colturale tenendo un occhio anche a costi /disponibilità dell’acqua;

· eliminare le coltivazioni pesantemente idro-esigenti, che non siano effettivamente indispensabili, ma che diano origine, all’estremo, a eccedenze o che comunque siano sostituibili con altre meno esigenti dal punto di vista della irrigazione;

· considerare, anche con modelli e simulazioni, i costi dell’irrigazione e l’utilità marginale dell’ultimo quintale prodotto grazie all’acqua;

· valutare la dotazione salina del suolo.

Sul versante degli impatti ambientali connessi all’impiego dell’acqua in agricoltura

ricordo:

1.l’inquinamento da fertilizzanti e pesticidi;

2.il depauperamento degli acquiferi a causa di estrazioni selvagge;

3.forme di irrigazione molto spinta, sono sinonimo di agricoltura intensiva e conseguentemente di danneggiamento e distruzione di habitat naturali e semi-naturale o, perlomeno della distruzione di agroecosistemi ad elevato valore naturalistico;

4.aumento dell’erosione dei suoli coltivati;

5.salinizzazione delle acque;

6.effetti paesaggistico-ambientali provocati dalle infrastrutture per l’irrigazione, trasporto, il sollevamento e la distribuzione di acqua.

Nella provincia di Pesaro, la scarsità idrica di questa estate ha proprio messo in evidenza che questa è una risorsa non contabilizzata, che tutte le concessioni irrigue pompano come se non ci fossero limiti e sono tante quelle che sono prive di contatore di misura, richiesto fin dalla vecchia legge Merli 319/1976, che in molti comuni non si è potuto giustamente irrigare gli orti però si sono esclusi i campi sportivi; si irriga in pieno sole perdendo per evaporazione il 50 % dell’acqua pompata;

La stessa ordinanza del Presidente della provincia di Pesaro Urbino, di fatto era inapplicabile senza leggi citate ne articoli di riferimento; mi sono permesso di dirlo con fermezza anche allo stesso presidente. All'ufficio acque della regione non hanno mai ricevuto un verbale sulle concessioni, eppure le guardie ecologiche e del WWF, volontari e non stipendiati, sono arrivate a fare nella sola provincia di Pesaro oltre 10 verbali sulle concessioni, non applicando l'ordinanza del presidente della provincia

Inoltre sono stati censiti e dichiarati ben 30.000 pozzi privati, tutti attingono nel sottosuolo comune, ma non permettono intanto la contabilizzazione dei consumi, nonostante che la normativa richieda la dichiarazione dell’acqua prelevata, presso gli uffici provinciali ogni sei mesi o annualmente; non si tratta solo di aggredire la stessa risorsa del sottosuolo e a fronte di un eventuale risparmio dell’acqua potabile pubblica, si evitano i cosiddetti oneri di depurazione, che si pagano appunto sull’acqua registrata dal contatore.

Tra i privilegiati dei canoni irrisori c’è anche la Città del Vaticano, la quale in base all’art. 6 del concordato, ha diritto di avere tutta l’acqua che ha bisogno, senza pagare niente  allo stato italiano. Con l’aggiunta nelle nuove norme italiane, dei canoni di depurazione e di fognatura, la vicenda si complica e da quando Acea è stata quotata in borsa, il contenzioso con il comune di Roma, è diventato manifesto. Intervengono il Ministero degli esteri ed i rappresentanti del Vaticano per la somma reclamata dall’Acea fino al 2003 pari a 25.170.000 euro.

La soluzione viene trovata e nella finanziaria del 2004, dove viene stabilito che 25 milioni di euro sono da versare, da parte dello stato,  all’Acea fino al 2004, più altri 4 milioni per il 2005. Va detto che la Santa Sede con 783 abitanti (2005), consuma in un anno circa 5 milioni di metri cubi, quantità sufficiente a dissetare 60.000 persone.

Le dighe.

Più della metà dei grandi fiumi del mondo sono pericolosamente sfruttati, tanto che nel 1998, 25 milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case per inquinamento, svuotamento dei fiumi; questo numero ha superato quello dei rifugiati per le guerre.

La diga più antica documentata, fu costruita 4500 anni fa in Egitto ed era in terra, così come tutte le dighe fino all’avvento del calcestruzzo. Ma gli interventi più impattati si hanno, quando l’uomo, cominciò a costruire grandissime strutture ad alta tecnologia, per imbrigliare le enormi portate dei fiumi.

Nel XX secolo. furono costruite 800.000 dighe di piccole dimensioni e 40.000 grandi dighe con altezza superiore ai 20 metri, di cui più di cento superano i 150 metri.

La Cina detiene il record delle dighe costruite, seguita da Stati Uniti, ex Unione Sovietica, Giappone , India.

Grazie a queste costruzioni è stato imbrigliato più del 60 % dei fiumi mondiali; negli Usa solo il 2 % dei fiumi è libero, il Canada ha la “palma d’oro” delle maggiori deviazioni di torrenti e fiumi, più di ogni altra parte del mondo.

Un tempo simbolo del dominio dell’uomo sulla natura, oggi sono cadute in discredito; il problema, è che esse necessitano di bacini e quindi di terreno da allagare, sommergendo così colture e vegetazioni; diluiscono e facilitano l’immissione nella catena alimentare dei pesci, il tossico mercurio, Contribuiscono, in particolare nella fase iniziale, dato che la vegetazione sommersa in decomposizione  rilascia enormi quantità di anidride carbonica e metano, all’aumento dell’effetto serra: è quello che è avvenuto in quelle dighe che hanno sommerso grandi estensioni di foresta di foresta.

Inoltre lo spaventoso aumento di peso dell’acqua che gravita sul terreno,  deforma la crosta terrestre sottostante, provocando a volte dei terremoti;  ci sono prove in tal senso per almeno 70 casi. Alcuni geofisici ritengono che queste enormi masse artificiali di acqua, abbiano avuto una influenza, seppur minima, nella rotazione terrestre.

Le dighe hanno enormi impatti ambientali sugli ecosistemi locali; il materiale alluvionato ricopre i letti fluviali ostruendo i corsi d’acqua, impedendo a tanti fiumi di raggiungere il mare.

Favoriscono l’aumento dell’evaporazione, alterando i microclimi locali e aumentando sensibilmente la percentuale salina dell’acqua.

La stessa fauna ittica è messa in crisi soprattutto a valle delle dighe, a causa delle scarse portate e le specie migratrici come i salmoni spesso non riescono a raggiungere la loro destinazione.

In Tailandia nella diga di Pak Mun, scomparvero tutte le 150 specie di pesce che vivono nel fiume Mun.

Infine è stato calcolato, che negli ultimi 60 anni la costruzione delle dighe ha provocato lo spostamento 60/80 milioni di persone, molto spesso senza alcun risarcimento e costretti a vivere ed ammassarsi alle periferie delle grandi città del terzo mondo.

La Commissione Mondiale sulle dighe afferma  che in India nel periodo successivo all’indipendenza, per la costruzione dei sbarramenti sono stati allontanati fino a 38 milioni di persone.

 In Guatemala, negli anni ’80 per costruire la diga di Chixoy, fu compiuto il massacro da parte dei soldati dell’esercito, di 378 uomin,i donne, bambini, indigeni Maya Achi, che chiedevano il giusto risarcimento per potersi spostare.

Nel 1948 in Usa la diga di Garrison, allagò gran parte della riserva indiana del Nord Dakota, costringendo la maggior parte dei nativi ad andarsene.

Per la diga di Resia (val Venosta)  nel Sud Tirolo, completata nel 1949, in Italia, le popolazioni locali subirono la stessa sorte.

Le dighe creano l’ambiente adatto allo sviluppo di parassiti, causando le malattie trasmesse dall’acqua. La malaria si diffonde maggiormente nei pressi dei bacini artificiali. In Brasile dopo la costruzione della diga di Itaipù nel 1989, si sviluppò una epidemia di malaria, già debellata al sud.

Il Metauro è il fiume delle Marche che ha un bacino idrogeologico più grande delle Marche, pur con una portata media inferiore dell’Esino e del Tronto, con una lunghezza dalla sorgente sulla dorsale appenninica alla foce a Fano di 121 km di lunghezza. Nel suo tragitto ha realizzate ben  12 centrali idroelettriche di cui 7 Enel e 5 private. Il Furlo è la più potente, essendo alimentata dalle acque più copiose, del suo principale affluente il Candigliano; essa ha installata una potenza di 14 Mw, sufficienti per alimentare 7000 famiglie. Ha una diga realizzata nel 1922 con una altezza di 38 metri piantata nella gola del Furlo. La centrale ricostruita nel dopoguerra, è stato il fiore all’occhiello della nascente Enel. Ebbene per il materiale di alluvionamento il bacino si è ridotto ad 1/3 della sua capacità. C’è chi vorrebbe svuotarlo per recuperare il pietrame, senza però avere l’onere di smaltire l’enorme quantità di limo presente, difficile fra l’altro da depositare in qualche parte. A valle a circa 10 km dalla foce è presente l’ultima diga, a cima sfiorante, del tipo dei vecchi mulini, che alimenta la centrale della Liscia le cui acque si riversano nel porto canale di Fano. Ebbene l’Enel, ha dovuto realizzare una serie di blocchi frangiflutti in cemento armato, per evitare che le acque scalzassero la traversa, aumentando l’erosione  della marna argillosa che si vede chiaramente sul fondale povero di detriti alluvionati.

Le norme del settore.

E’ il Regio Decreto dell’11 Dicembre 1933, n.1775, la più importante tra le “leggi in materia” a cui fa riferimento il codice. L’art. 1 definisce come pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia  isolatamente per la loro portata o per l'ampiezza del rispettivo  bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse”. Requisito fondamentale per cui un bene possa definirsi pubblico è quello dell’attitudine ad usi di pubblico e generale interesse. L’interpretazione estensiva data a tale principio dalla Giurisprudenza, che ha finito per riconoscere l’attitudine ad usi di pubblico e generale interesse per tutte le acque superficiali non di minima entità, ha portato a riconoscere come beni idrici sorgenti, colatoi, fossati, ghiacciai, canali di enti territoriali. In base all’art. 103 (Titolo II, Disposizioni speciali sulle acque sotterranee) della stessa legge, l’idoneità a soddisfare l’interesse generale pubblico, è prevista anche per riconoscere come pubbliche le acque sotterranee.

Pur affermando la natura pubblica del “bene acqua”, Il R.D. 1775 mirava a massimizzarne lo sfruttamento, incurante della tutela della risorsa e della restituzione all’ambiente naturale, continuando a ritenerla un bene illimitato.

L’attuale sistema tariffario per le concessioni è tutt’oggi strutturato come previsto dal RD 1775/1933, ossia non tiene conto del risparmio, della possibilità di riutilizzo e di restituzione di acqua non inquinata. Il costo del servizio è, comunque, generalmente aumentato in misura significativa, prevalentemente a causa dell’applicazione divenuta obbligatoria, della tariffa della fognatura e depurazione, che viene addebitata anche quando il servizio non è erogato.

La legge Galli “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà.

Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.

Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici”.

Questi enunciati sono i primi tre commi dell’art.1 della L.36/94, “Disposizioni in materia di risorse idriche”, meglio nota come legge Galli. Queste premesse hanno fatto ben sperare in un’effettiva rivoluzione della gestione del patrimonio idrico, componente fondamentale dell’ecosistema in cui viviamo. Questa “rivoluzione” era e resta assolutamente necessaria e addirittura l’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 1994 aveva espressamente invitato l’Italia (OCSE, 1994 - “Esame OCSE delle performance ambientali”) a utilizzare l’acqua in maniera più efficiente, provvedere all’accorpamento di enti operanti nel settore dei servizi idrici, investire maggiormente nell’approvigionamento di acqua potabile, avviare una efficace manutenzione degli impianti vecchi e nuovi, rendere operative al più presto le autorità di bacino. La legge Galli ha gettato le basi per una gestione integrata dell’intero ciclo idrico, il cui costo sia interamente coperto dalla tariffa, venendo a risolvere la molteplicità di gestione, la frammentazione del ciclo tecnologico, il divario tra le tariffe preesistenti ed il costo del servizio, interamente a carico dello Stato e, perciò, dei contribuenti. Il ciclo integrato viene affidato (captazione, trattamento, distribuzione, fognature e depurazione) ad un unico soggetto con lo scopo di assicurare una gestione razionale dell’acqua riducendo gli sprechi e favorendo il risparmio ed il riuso. Si stabilisce il principio che l’onere della gestione ricada sulla tariffa, elemento regolatore del sistema, trasferendone il costo sull’utenza e sottraendolo alla collettività.

Col D.L.vo 152/1999 l’inquinamento delle acque diventa un reato sempre più difficile da dimostrare e ridotto comunque alle sole sanzioni amministrative, seppure consistenti. Anche con le recenti normative il D. L.vo 152/2006,  si continua a parlare dei fiumi come corpi recettori; occorre comunque dire, che è stato introdotto il concetto di analisi dei bioindicatori, che sono considerati come elementi di prova.

Si introduce anche il concetto di minimo flusso vitale, che è già di per sé una condizione assolutamente limitativa (forse non sufficiente) per la tutela degli ambienti acquatici. Seppure richiesto, comunque non esistono ancora regole chiare per la sua corretta contabilizzazione.

Le captazioni selvagge incidono notevolmente sulle particolari e vulnerabili biocenosi sorgentizie o dei tratti superiori dei corsi d’acqua; non viene quasi mai garantito il minimo deflusso vitale Le normative in tema di acque sono tante, che permettono una difficile gestione legislativa delle singole problematiche; un esempio è il Piano Energetico Ambientale Regionale PEAR che a fronte di dettagliate analisi, in tema di energia eolica ed altre forme di intervento energetico, per il settore idrico sottolinea il solo recupero delle traverse esistenti, cioè dei vecchi mulini.

Nelle Marche.

Monitoraggio sull’illegalità e sullo stato di salute dei fiumi italiani “Fiumeinforma” della  Legambiente del maggio 2007. Indagine realizzata nell’ambito di “Fiumi Informa 2007” campagna nazionale contro l’illegalità sui fiumi di Legambiente e del Corpo forestale dello Stato.

Per le Marche la situazione dei suoi fiumi viene definita “pessima”, nel podio delle regioni a maglia nera salgono la Sicilia con il 24%, le Marche con l’11%, ed il Lazio con il 10%. I dati relativi alla nostra regione per i fiumi sono così espressi.

Nelle Marche dal 2003 al 2005 sono stati commessi a danno dei fiumi ben 333 illeciti, circa sette ogni mese, di cui 274 amministrativi e 59 penali. In generale si nota una tendenza alla diminuzione dal 2003 al 2006, solo parzialmente inficiata dall’andamento del 2005, di poco superiore rispetto all’anno precedente. In ogni caso nel 2006 sia gli illeciti amministrativi che le notizie di reato, sono molto diminuite rispetto agli anni precedenti.

Come accade in molte altre regioni, anche nelle Marche il primato delle azioni non legali spetta alla pesca non regolamentata, di cui sono stati individuati 171 casi nel quadriennio considerato, anche se si registra una significativa diminuzione rispetto agli anni precedenti.

Seguono i reati di inquinamento, con 123 illeciti fra amministrativi e penali, e i reati di polizia fluviale (32), che comprendono il furto di ghiaia e inerti dagli alvei dei fiumi, le opere idrauliche non a norma, le problematiche legate all’accrescimento dei rischi idrogeologici, gli illeciti nelle aree demaniali sui fiumi, e sui  torrenti. Nelle Marche non ci si macchia molto, invece, del reato di furto d’acqua, che si attesta sempre su livelli piuttosto bassi e che dal 2003 al 2006 è stato riscontrato appena 7 volte.

I controlli che il Corpo forestale dello Stato ha effettuato nelle Marche sul territorio e alle persone sono stati 12.498, più di 8 al giorno.

Tale azione sul territorio ha permesso di identificare e denunciare 52 persone e di effettuare 5 sequestri fra amministrativi e penali.

Sono diminuite, rispetto agli anni precedenti, le multe del 2006, ma molti sono ancora gli euro notificati, per un totale di 304.831 in tutto il quadriennio.

All’interno della regione Marche, la provincia che registra il maggior numero di illeciti è senza dubbio Macerata, nella quale sono stati individuati soprattutto illeciti amministrativi legati alla pesca illegale (25). Le altre province presentano totali e parziali molto simili, che segnalano illegalità a carico soprattutto dell’inquinamento delle acque interne.

Nella provincia di Macerata, con quasi 3 controlli al giorno, 868 in totale, il Corpo forestale dello Stato mostra di essere più attento e presente sul territorio. Anche il numero di persone controllate, 669, e quello delle sanzioni amministrative, 36,  non hanno eguali nella regione.”

 

I consumi.

Ogni giorno una persona consuma in  litri: in Gambia 4,5, Mali 8, Usa 500, Inghilterra 200, poco più in Italia (Latina 692 litri, Ascoli Piceno 127 litri); l’OMS raccomanda un consumo medio di 40 litri.

Nei paesi sviluppati ci vogliono a persona  15.000 litri annui per rimuove i residui umani (35 chili di escrementi e 5.500 litri di urine).

120-160 litri per una doccia di tre minuti; 30 litri un carico di lavatrice; 80-120 litri lavare i piatti a mano; 20 litri per bere cucinare; 16 litri per lo sciacquone; 6 litri per lavarsi i denti senza lasciare aperto il rubinetto in continuazione; 2 litri per lavarsi le mani.

150.000 litri per costruire una Panda vecchio tipo; 40.000 litri per una tonnellata di carta e cartone; 29.000 per 1kg di cotone; 20.000 litri per una tonnellata di carne; 5.000 litri per 1kg di riso; 3.000 litri per un kg di zucchero di canna; 1500 litri per un computer.

 

Dietro questi consumi si affacciano notevoli interessi da smuovere mercati potenti.

La privatizzazione dell’acqua avviene in tre modi distinti.

1.      I governi vendono completamente i servizi di acquedotto e di depurazione alle società s.p.a e/o multinazionali come si è già verificato in Gran Bretagna.

2.      In Francia le società, diventano concessionarie del servizio idrico, ne sostengono i costi di esercizio e di manutenzione e ne riscuotono i proventi, trattenendo le eccedenze come utile.

3.      E’ un modello di privatizzazione più contenuto, nel quale la s. p.a. riceve in appalto la gestione dei servizi idrici della pubblica amministrazione, dietro il pagamento di una tassa amministrativa, senza però poterne riscuotere i pagamenti, né raccogliere gli utili.

 

Tutti e tre, sono un avvio alla privatizzazione ed  il modello più adottato è il secondo che permette una partnership pubblico/privata.

Con questa privatizzazione, l’acqua diventa un prodotto, cui viene attribuito un prezzo e che viene posto in vendita sul mercato, per soddisfare la richiesta di coloro che possono pagarlo. Inoltre lo scopo è quello della massimalizzazione del profitto, non certo quello di garantire la sostenibilità e l’accesso equo all’acqua; qui è la dinamica del mercato che si impone. Una dimostrazione sono spesso gli aumenti vertiginosi delle bollette dell’acqua. Inoltre le privatizzazioni possono portare ad una minore responsabilità pubblica, con la conseguente non più obbligata informazione di ciò che si sta bevendo. Il 26 novembre 2005 il Metauro va in piena a causa delle precipitazioni. L’acqua limosa ricopre i pozzi di prelievo dell’acqua potabile dei comuni di Sant’Angelo in Vado e Fossombrone provincia di Pesaro Urbino. Il presidente del Megas, l’ente gestore di tutti i procedimenti idrici delle acque della zona, comunica attraverso i giornali locali, la necessità di far bollire l’acqua prima di usarla. Ho potuto constatare successivamente, che in quelle date non esistono analisi delle acque nei due comuni citati. Ci si limita alle sole analisi richieste per legge, che penalizzano, rispetto alla vecchia normativa, soprattutto i piccoli comuni.

 

Abbiamo già visto la doppia distinzione che si fa a livello internazionale sull’acqua:

necessità/diritto dove un minimo deve essere messo a disposizione per ciascun abitante del pianeta , a bisogno ed in quanto tale, tutta la filiera dell’acqua dalla captazione alla sorgente, alla raccolta e distribuzione, alla depurazione fognaria, viene soggetta a trattamenti tecnologici che ne impongono una vera e propria mercificazione.

Il buon senso vorrebbe che in una situazione di crisi idrica l’acqua sfuggisse a logiche di tipo economico e fosse gestita con tutte le attenzioni e le forme di controllo pubblico necessarie. Ma sta avvenendo esattamente l’opposto. L’acqua è ritenuta un mercato ed in quanto tale soggetta alle sue leggi, con un prezzo di vendita determinato dai costi di produzione. Nel mercato prima vengono gli interessi economici e poi i diritti delle persone, ma tutto questo può avere conseguenze disastrose. Senza considerare che queste società, andranno a gestire l’acqua in una situazione di monopolio, determinando così i prezzi a proprio piacimento.

Come abbiamo già visto in Italia, tale situazione si è creata dopo la legge Galli la n.36 del 1994, che ha voluto e proposto i cosidetti ATO Autorità Territoriale Ottimale,

Si è assistito così ad una privatizzazione graduale del bene pubblico, senza fornire ai cittadini una corretta informazione di quanto stava avvenendo. Ecco che le cosiddette Aziende Municipalizzate si sono trasformate in S. p. A., quotate sul mercato. Proprio per questo la loro gestione non può che essere legata a leggi di mercato. La privatizzazione, viene spesso indicata come un processo di modernizzazione e agli inizi del 1900 era molto diffusa, ma la municipalizzazione fu resa necessaria per garantire ai cittadini un equo accesso alla risorsa acqua. La prima esperienza in Italia, avvenne in Toscana  nel 1999 dove Lyonnaise des eaux (oggi Suez) vinse la gara.

In Europa 12.000 imprese gestiscono il sistema, hanno 1 milione di dipendenti con un fatturato di 120 miliardi di Euro. Ma sempre in Toscana un piccolo comune ai confini con la Liguria, Granaglione, con 300 piccoli comuni iniziarono la “rivolta” contro la privatizzazione di quello che è ritenuto un bene di tutti.

Pare che la stessa legge Galli sia prossima a dei cambiamenti e si riproporrà, forse, il ritorno alla gestione pubblica, dell’acqua.

 

A livello mondiale due società multinazionali francesi detengono i posti più elevati nella classifica della gestione acque: la Vivendi e la Suez; insieme si spartiscono oltre il 70% del mercato idrico mondiale, operando in ben 130 nazioni.

 

Acqua imbottigliata

In Italia sono presenti per legge le seguenti tipologie di acque alimentari: la potabile regolata dal D. Lvo n. 31/2001, la potabile in bottiglia, quella ultrafiltrata sempre come la potabile, viene filtrata tramite membrana osmotica,  proposta a caro prezzo, per i neonati e nei ristoranti in caraffe; quella di sorgente che è come la potabile, ma può subire dei lievi trattamenti (boccioni da 18 litri, 5 galloni) proposta per gli uffici; infine quella minerale, che ritenuta un’acqua medicamentosa, viene legiferata con norme diverse.

Gli italiani sono i maggiori consumatori europei di acqua in bottiglia.

Il mercato internazionale è detenuto dalla Nestlè con la Perrier con il 30 % di tutto il mercato delle acque minerali, mentre la Danone seguita dalla Pepsi e CocaCola, ne controlla il 15%. Il mercato delle acque in bottiglia è stimato a 22 miliardi di dollari, con una percentuale di crescita annua del 30%.

Le acque minerali, seppure legiferate con una normativa diversa da quella potabile, occorre dirlo, soffrono degli stessi rischi  di inquinamento come tutte le altre acque. Anzi a volte come è già successo, le pressioni sui politici hanno permesso a queste acque di avere i limiti parametri non ammessi , a livello più alto di quelle potabili.

Nel 2001 il ministero della salute aveva promosso una indagine sulle acque minerali col risultato che 200 marchi su 260 risultavano fuori norma: nel dicembre 2003 il ministero recepisce la direttiva europea sulle acque minerali, ritoccando proprio i valori del decreto del 2001, introducendo una soglia di tolleranza per una serie di sostanze a rischio, più elevata. C’è stata una pressione  di lobbyng, che ha permesso alle aziende di ottenere una normativa come se fosse un vestito su misura. Si consideri che in Italia sono presenti 177 imprese e 304 marchi, con 190 stabilimenti e 12 miliardi di litri imbottigliati, di cui 1 miliardo esportato. Le concessioni sono così irrisorie che nella sola regione Lombardia, non riescono a  pagare i dipendenti dell’ufficio acque minerali; non solo, dato che la maggior parte sono imbottigliate in contenitori di Pet, i costi ricadono sulla regione, spendendo così più di quanto incassano con le concessioni.

 

Nel nostro Paese sono in commercio 304 marchi di acque minerali, ma l’84% del mercato, 3 miliardi di euro, complessivamente, è in mano a una dozzina di gruppi.
I primi sono Sanpellegrino (Nestlé) e San Bendetto, il terzo è un nome che non dice niente, la Compagnia generale di distribuzione (Cogedi), ma è quello che controlla i marchi Rocchetta (il sesto marchio per volumi di vendita in Italia) e Uliveto (il nono). Le due aziende fanno capo a una finanziaria olandese, la Chesnut Bv che, a sua volta, fa riferimento a una famiglia italiana, la De Simone Niquesa. Rocchetta è arrivata a Gualdo all’inizio degli anni ’90. Nel 2005 ha imbottigliato oltre 400 milioni di litri d’acqua. L’azienda paga alla Regione Umbria 0,0005 euro per ogni litro d’acqua imbottigliato (50 centesimi per ogni metro cubo, mille litri). Poi noi ricompriamo quella stessa acqua, per esempio nei supermarket, a 55 centesimi la bottiglia, ovvero 37 centesimo al litro. Fatti due conti, quei 400 milioni di litri generano qualcosa come 148 milioni di euro
di fatturato. Per quella stessa acqua Rocchetta ha pagato alla Regione Umbria nel 2005, circa 220 mila euro. Una miseria. Tratto dal sito “Fabrianopoli”. Con la Danone questi 4 gruppi coprono il 70% delle minerali italiane.

 

Conclusioni.

Per approfondire questo argomento ci sono dei libri inchiesta del vice caporedattore di Famiglia Cristiana , Giuseppe Altamore, proposti nella biografia, di cui consiglio vivamente la lettura, per capire gli intrecci, i problemi, gli interessi, presenti nel settore.

“L’acqua è una necessità fondamentale per la vita: occorre assicurare a ciascuno l’adeguata fornitura d’acqua di buona qualità”

E’ necessario allora riconoscere un vero e proprio diritto all’accesso all’acqua di tutti gli esseri umani. L’OMS stabilisce a 40 litri pro capite il minimo necessario. Eppure a livello internazionale  si è fatto di tutto per  modificare il “diritto/necessità” all’acqua con un minimo necessario garantito a tutti, con il “bisogno” ed in quanto tale, da pagare nei suoi diversi trattamenti tecnologici. L’acqua da risorsa di tutti diventa un bene su cui speculare.

Mi piace concludere questa nostra carrellata sull’acqua con una affermazione di Ursula Franklin, studiosa canadese, ambientalista e pacifista molto conosciuta.

“Quella che si combatte ora è una guerra economica, nella quale i nuovi “nemici” sono la gente e la Natura ed i nuovi territori da occupare sono i servizi pubblici indispensabili (che “dovremmo possedere in comune, non a fine di lucro, in una società democratica). Stiamo vivendo un’occupazione di tipo militare, “con governi fantoccio”, che amministrano il paese nell’interesse delle multinazionali e dei loro “eserciti di seguaci del libero mercato”.

 

Giuseppe Dini

Contrada Saline di Penna S. Giovanni  14 ottobre 2007

 

Bibliografia

Davide Pellanda Collana “Parole delle Fedi” “Acqua” EMI ed. Bologna 2006

Francesco Gesualdi “Acqua con giustizia e sobrietà”  EMI ed. Bologna 2007-07-25

Martire  Tiberi “ Acqua il consumo in Italia” EMI ed. Bologna 2006

CIPSI “Acqua Educazione Cittadinanza” EMI ed. Bologna 2006

Marq De Villiers “Acqua” Sperling & Kupfer ed. Milano 2003

Pasquale Merlino “Che acqua beviamo?” MA.C.AN.FRA ed 1999

Barlow Clarke “Oro Blu” Ariannna ed. Bologna 2004

Giuseppe Altamore “Qualcuno vuol darcela a bere” Fratelli Frilli ed. Genova 2003

Giuseppe Altamore “I predoni dell’Acqua” San Paolo ed. Milano 2004

Giuseppe Altamore “Acqua spa” mondatori ed. Milano 2006

Luca Ramacci “Manuale di autodifesa ambientale del cittadino” Fr. Angeli ed. Milano 2006

 

Sitografia

www.contrattoacqua.it associazione per il contratto mondiale dell’acqua

www.minambiente.it su Comitati e Commissioni vigilanza sulle risorse idriche

www.federutility.it  Federazione imprese settore idrico

www.gruppo183.org gruppo di ricerca privato

www.acquaminerale.net acque minerali

www.mineracqua.it  associazioni industriali acque minerali

www.acqua2o.it collezione etichette acque minerali

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