ENERGIA DA BIOMASSE

su Informarci n.27 giugno 2007

 

E’ ormai da diverso tempo che sui mass-media appare questa parola: “biomassa”. I motivi principali che il termine in questione va alla ribalta anche delle pagine locali dei nostri quotidiani è l’evidente fame di energia che abbiamo che, anche giustamente, ci fa cercare risorse anche da fonti diverse dal petrolio. La biomassa in quanto tale rappresenta nient’altro che un accumulo naturale della stessa energia solare, per cui il riutilizzo ci permette non solo di aggiungere una quota energetica rinnovabile, ma anche di fare il riequilibrio stesso con l’anidride carbonica accumlatasi nella crescita delle piante e ridata nel loro riutilizzo energetico, soddisfacendo così  anche l’ormai famoso protocollo di Kyoto sugli scarichi in atmosfera.

Vediamo quali sono le tecnologie di conversione  dall’ energia da biomassa.

Tre sono le sostanziali tipologie: trasformazione in energia termica di cui la combustione è la più evidente, la fermentazione anaerobica dalla quale ricavare metano o biogas, la fermentazione alcolica dalla quale si ottiene alcool da utilizzare a sua volta come combustibile.

Sul nostro territorio le prima due sono quelle che vengono recentemente proposte ai nostri comuni, come recupero energetico.

La combustione ci permette di ottenere calore da utilizzare per il consumo diretto o per ottenere vapore destinato alla produzione di elettricità.

In questo caso si ha però un rendimento intorno al 30% cioè significa che una proposta come quella effettuata recentemente nel comune di Peglio con una produzione di 3000 kw di potenza elettrica ha un consumo termico pari a 10000 kw; una nota questa non trascurabile quando si devono prendere decisioni sul territorio, per via del quantitativo di combustibile richiesto in ingresso ed il conseguente via vai di automezzi da trasporto.

Per quanto riguarda il combustibile, di solito si tratta di sottoprodotti agricoli derivati dalle colture: paglia, tutoli di mais, lolla di riso, sansa di olive, gusci di noci nocciole mandorle, vinaccioli, segatura di legno, cascami e sottoprodotti del bosco, potature.

Va detto però che per legge rientra tra le biomassa anche il cosiddetto CDR, cioè Combustibile Da Rifiuti, il cui uso viene incentivato dallo stato alla pari delle altre fonti rinnovabili. Certamente il suo costo rispetto a tutti gli altri elencati non può che essere minore, ma la sua combustione, per la tipologia eterogenea dei rifiuti stessi (cellulosa mescolata con plastica) da nei fumi la presenza della  diossina, che per essere eliminata dovrebbe essere portata ad alta temperatura, riducendo notevolmente così il rendimento dell’impianto. Le stesse ceneri poi, risultano rifiuti pericolosi da stoccare in apposite discariche.

Va aggiunto che la maggior parte dei mobilifici della nostra provincia bruciano, dietro autorizzazione,  il loro truciolare di scarto che deve essere autocertificato nella sua costituzione, perché non deve essere prodotto con pannelli da recupero contenenti trattamenti;  seppure composto da legno e resine esso da origine ugualmente diossina e per questo dovrebbero essere lontani dalle abitazione 2000 metri come prevede una norma regionale; nella nostra provincia sono piuttosto numerosi e a volte, situati nei centri abitati: una megacentrale diffusa su tutto il territorio di Pesaro Urbino.

Una proposta fatta attualmente ad un comune della valle del Foglia, prevede invece la realizzazione di un impianto di biogas. Esso utilizza soprattutto liquami e letami animali, ma può funzionare anche con fanghi industriali, sottoprodotti di aziende alimentari, ortofrutticoli di scarto.

In sostanza si tratta di riscaldare i fanghi a circa 40 ° C, in appositi reattori chiusi ermeticamente in modo tale da evitare l’intrusione di ossigeno. Ciò permette la moltiplicazioni di batteri metaniferi che degradando la materia organica  producono biogas il cui componente principale è metano a circa il 70 %. Questo può essere quindi bruciato in caldaie per ottenere calore o utilizzato in gruppi elettrogeni detti di cogenerazione che producono elettricità e calore, da utilizzare ovviamente dove c’è richiesta, altrimenti viene smaltito in aria col conseguente abbassamento del rendimento finale.

I problemi qui nascono nella conduzione dei reattori, che nella fase finale completa non producono fanghi maleodoranti, ma la produzione di metano si abbassa notevolmente. Ovviamente questi devono essere essiccati solitamente all’aria, in  apposite vasche basse ed estese. Tale proposta nelle nostre zone vale solo se effettuata per gli effluenti zootecnici, non è certamente pensabile né auspicabile importare da altre aree,  fanghi di natura diversa.

Fra l’altro si eviterebbe l’abitudine scorretta, di accumulare letame ai bordi dei campi e lasciarli lì anche oltre un anno. Tale pratica rientra nell’abbandono di rifiuti speciali, col rischio di ruscellamento in caso di pioggia ed il conseguente inquinamento dei torrenti;  a meno che il letame stabilizzato e maturo non sia utilizzato e ricoperto nel giro di 48 ore così come previsto per la buona conduzione del fondo agricolo.

In sostanza non si tratta di avere centrali piccole o grandi, ma dobbiamo essere attenti alle proposte che vengono fatte sul territorio e valutare  tutti gli aspetti che ne fanno parte, anche speculativi, per evitare problemi postumi e forme di speculazione nascoste: energie rinnovabili sì, ma con tutte le dovute attenzioni.

Sant’Angelo in Vado 2.06.07

 Giuseppe Dini

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