Dal Corriere della sera del 7 settembre 2004

Creatività nell’uso del personal
Internet impiegato per le ricerche

L’altro elemento «progressivo» rispetto al passato è il riconoscimento dell’informatica e delle tecnologie come discipline fondanti la scuola della riforma. Un insegnamento che parte dalla prima media (del resto l’«alfabetizzazione informatica» è già nei programmi della primaria), «ma solo al terzo anno - spiega Germano Cipolletta, autore di libri di testo per elementari e medie e formatore di docenti - si evince la sua vocazione interdisciplinare»: una disciplina trasversale «per capire il funzionamento del mondo, dall’economia alla produzione tecnologica». I ragazzi impareranno come funziona un frigo o uno stereo; l’aspetto «concreto» della vecchia educazione tecnica si unirà all’informatica, che non sarà più uno studio puramente teorico, ma «uno strumento per risolvere problemi tecnici e anche per creare». Fondamentale l’uso del laboratorio, per realizzare ad esempio «un racconto storico con foto e informazioni reperite in Internet. Così i ragazzi si abituano a essere parti attive di un processo sociale». Non solo pc, dunque, anche se il terzo anno prevede l’insegnamento dei primi moduli per conseguire la patente europea per il computer. Chi insegnerà questa materia? «Di base, i docenti di applicazioni tecniche. Che spesso hanno ottime competenze nel disegno, nella tecnologia applicata, ma anche lacune in ambito strettamente informatico. Per questo ci vorrà un impegno sul settore dell’aggiornamento».

Gabriella Jacomella

L’educazione informatica è necessaria, ma serve un antidoto al mondo virtuale di Internet: recuperare nella didattica il gusto di costruire qualcosa con le proprie mani

Maggiore attenzione al presente, con un rischio: lo st rapotere del computer

Positivo il ritorno dell’«educazione domestica», malgrado la dicitura demodè

Messe da parte le pregiudiziali ideologiche, legittime anche se di parte, solo attraverso la pratica attuazione si potrà consapevolmente verificare se la riforma della scuola elementare e media sarà accettabile o no: o meglio se potrà diventarlo nel tempo, grazie all’impegno di maestri e professori, a cui compete - di fatto - farla funzionare e pian piano nel tempo migliorarla. Per ora possiamo fare solo qualche considerazione generale (e necessariamente astratta) sul nuovo progetto didattico della Moratti.
Nella sostanza, si punta a un incremento dello studio dell’italiano e della matematica, a un sostanziale ridimensionamento della storia diluita in otto anni, all'inserimento dell'informatica, dell'inglese e (per le medie) di una seconda lingua straniera, dell’«educazione all’affettività» (versione pudica per «educazione sessuale»), nonché al ripristino dell’educazione civica e dell’economia domestica. Ma soprattutto si punta a uno svecchiamento all’insegna dell’attualità: il che vuol dire non solo introdurre nella scuola la navigazione in Rete e rafforzare la lettura dei giornali, ma anche analizzare altri sistemi della comunicazione di oggi.
Questa è sicuramente una brutta notizia per chi è ancorato all’idea di un’educazione attenta soprattutto allo studio del passato. Dunque è facile prevedere il protrarsi della lunga e accesa discussione già in atto, forse sterile, perché dipenderà dagli insegnanti correggere il tiro e coniugare con buon senso tradizione e modernità. Ma vorrei spostare l’attenzione su altri aspetti, apparentemente più marginali, che potrebbero invece diventare importanti, specie per bambini e ragazzi delle grandi aeree metropolitane. L’educazione «ai principi fondamentali della convivenza civile», se saprà essere qualcosa di organico e ben costruito, potrà essere determinante in una scuola che è già multietnica e sempre più lo sarà, con tutti i problemi (e la ricchezza culturale) che ciò comporta.
Anche il ripristino dell’educazione domestica (nonostante la dicitura
demodé e) mi pare buona cosa per bambini e ragazzi, che possono così recuperare ed esercitare il gusto della manualità: con il piacere di vedere nascere oggetti dal paziente uso delle loro mani. E’ un recupero che farà bene anche alla salute mentale, se saprà creare lo sviluppo di una capacità di concentrazione alternativa a quella puramente intellettuale. Ma, soprattutto, questo recupero potrebbe diventare un correttivo decisivo al pericolo maggiore a cui va incontro la nostra futura scuola, che sembra divinizzare il computer e Internet. Certo, l’alfabetizzazione informatica è oggi necessaria. Ma rendere il PC protagonista nell’insegnamento mi pare utopistico e rischioso. Utopistico perché difficilmente si troveranno i fondi indispensabili per un continuo aggiornamento degli strumenti e dei programmi. Rischioso perché una frequentazione eccessiva con il mondo virtuale di Internet potrebbe alla lunga snaturare la conoscenza diretta del mondo reale .

 Giorgio De Rienzo

 LA MIA RISPOSTA

Redazione CORRIERE DELLA SERA

Spettabile redazione,

mi permetto di rispondere in merito ai due vostri articoli apparsi nel giornale del 7 settembre 2004, relativamente alla riforma scolastica ed in particolare alla disciplina “Tecnologia” a firma di Gabriella Jacomella e Giorgio Di Rienzo.

Sono un insegnante di Educazione Tecnica, iscritto grazie a miei articoli didattici all’ordine dei giornalisti delle Marche, direi perciò anche vostro collega.

Qui tutti parlano della riforma, meno che gli insegnanti, a parte qualche intervento relegato nelle lettere al direttore in alcune testate, spero perciò a nome dei colleghi e dei pochissimi ( 6 ) in Italia che hanno continuato a scrivere per questa disciplina di avere uno spazio, se non altro per far sentire un’altra opinione.

Quello che non è apparso chiaramente è che 20.000 insegnanti di Ed. Tecnica (mi piace continuarla a chiamarla così) di cui 17.500 effettivi e 2.500 precari rischiano il loro posto, dal momento che la riforma nelle due norme istitutive riduce da 3 ore a 1 l’ora di Tecnologia che viene abbinata all’area matematica e scienze e che si è in attesa della riformulazione delle classi di concorso.  Due circolari ministeriali una di marzo e l’altra di luglio assegnano in via del tutto straordinaria agli insegnanti di Ed. Tecnica, la possibilità di insegnare l’ora di tecnologia e di effettuare i laboratori di informatica, che, occorre dirlo, non è stata data ad alcuna disciplina in quanto ritenuta orizzontale perciò ormai patrimonio di tutte le materie, che dovrebbero far uso sistematico del computer, come un utilizzo di un qualsiasi altro strumento audiovisivo.

La richiesta enfatica quasi idolatra, che si fa di questo strumento, mi pare eccessiva: se nella scuola non si dovesse fare informatica sarebbe una scuola indietro nei tempi: cosa non vera. Nessuno si preoccupa di vedere le dotazioni che ci sono: nella mia scuola c’è un’aula di 15 computer ormai sorpassati per 270 ragazzi più altri 8 distribuiti nei laboratori, materna ed elementari 23 macchine per circa 800 alunni. Nessuno si è preoccupato di inserire la conoscenza dell’hardware delle parti interne,  al fine di capirne l’assetto per poter intervenire in caso di guasti banali, sostituzioni di schede o anche di approfondire sistemi operativi diversi, alternativi, quali LINUX gratuito ed espandibile: il ministero dell’istruzione francese lo ha adottato per le sue scuole così come il parlamento tedesco.

Gli insegnanti di Ed. Tecnica, in quanto esperti del mondo costruito, sono stati tra i primi ad  utilizzare queste macchine, ad inserirle nelle loro attività; basta solo vedere quanti di loro in tutta Italia sono figure obiettivo per le tecnologie nelle scuole medie, cioè, incaricati alla manutenzione, con orario extrascolastico al di là di quello disciplinare,  per l’uso didattico, collaborazione con i colleghi, per diffondere l’utilizzo del computer nella scuola.

Questa pratica, l’operatività che prima si riusciva a fare, contrariamente a quanto riportato da Jacomella, con la riforma non è più possibile realizzarla. La stessa limitazione oraria è evidente 1 ora a 3. E nessuno si è reso conto che non  era semplice realizzarla; si dovevano preparare mediamente in una classe 5 gruppi di lavoro con i relativi materiali e seguirli. Si realizzava un laboratorio che non era solo manualità, ma anche ricerca, un continuo tra la teoria espressa nella classe  e l’applicazione esperienziale  di quanto appreso e cosa molto importante i ragazzi si sentivano più creativi. Chi vi scrive è riuscito a trasformare il suo istituto in una scuola polo, in particolare nel settore ambientale ed energie rinnovabili, riuscendo ad avere attraverso i materiali didattici realizzati, 14 milioni di vecchie lire per il progetto Scientifico e Tecnologico (SeT) prima scuola della provincia di Pesaro Urbino. Per non tediarvi con le mie attività vi invito a visitare il mio sito www.educambiente.it  e vedere le esperienze di Educazione Tecnica.

Anche la stessa alimentazione veniva condotta in pratica, con la realizzazione del pane , del formaggio, gli additivi alimentari e coloranti, visti utilizzando le aranciate bevute dai ragazzi, l’estrazione degli oli dai semi e dalle patatine spesso consumate da loro.

C’era perciò anche quella che qualcuno definisce educazione domestica, perché con l’analisi di tutto ciò che è costruito, del mondo tecnologico, si riescono a capire anche i vari processi di realizzazione ed a conoscere l’utilizzo dei tanti utensili, una estensione pensata e realizzata delle mani dell’uomo.

Economia domestica (non educazione come avete scritto voi) è un retaggio del lontano passato oltre 40 anni fa e non si può fare ricamo e cucito fine a se stesso, così non servono; una attività pratica non può che essere il continuo di una serie di argomenti affrontati in classe, così come permette Educazione Tecnica.

Come oltre 40 anni fa si chiamava Applicazioni tecniche, era facoltativa, allora divisa per sessi e le ragazze facevano economia domestica, la si sta proponendo oggi.

Inoltre c’è il forte rischio di educare i nostri ragazzi ad essere persone di scrivania, che non sanno più conoscere né tanto meno usare un utensile; con questa proposta si sta distruggendo il gusto del conoscere, dell’imparare realizzando, dello scoprire smontando: insomma del sentirsi creativi.

Per concludere non posso che fare resistenza passiva a questa riforma, che penalizza fortemente la disciplina da me insegnata (e pensare che si è stradetto che nulla sarebbe cambiato), perciò quest’anno non prenderò a scuola nessun incarico, oltre il mio orario contrattuale ( lo scorso anno ho effettuato oltre 170 ore in più dell’orario didattico) e inviterò tutti i miei colleghi a fare altrettanto, continuerò a scrivere al ministro che seppure definito da molti mass-media il ministro del dialogo, non mi ha mai risposto, nella speranza di difendere Educazione Tecnica, la disciplina dell’imparare facendo.

Sant’Angelo in Vado 09.09.04

 

  Prof.Giuseppe Dini

Insegnante di Educazione Tecnica

Educazione tecnica