Educazione
tecnica, appunti per un dibattito
Il
modello organizzativo e didattico della scuola media che deriva
dall’applicazione della legge Moratti è un modello che opera una riduzione
del tempo scuola e dei contenuti disciplinari in esso compresi.
Il
tempo scuola per tutti, ridotto a 27 ore, rispetto alle 30, 33, 36 ore dei
modelli precedenti, impone una somministrazione in pillole dei saperi, il quadro
delle ore opzionali che compongono il mosaico non compensano la perdita
dell’unitarietà, ma segnano la frammentarietà dei tempi, dei gruppi, dei
percorsi, dei saperi.
Il
sacrificio quasi totale di una disciplina come l’educazione tecnica è una
scelta che non condividiamo e che non trova giustificazione alcuna nel quadro
del percorso formativo degli alunni.
A
partire dalla ovvia considerazione che il dominio della tecnologia nella nostra
società richiede che la scuola non trascuri questo aspetto della formazione
degli alunni.
Il
mondo dell’artificiale è alla base della maggior parte delle nostre
esperienze e questo richiede capacità di lettura del rapporto uomo natura al
momento dell’utilizzo delle risorse per la loro trasformazione, richiede
l’acquisizione di competenze relative alla logica operativa, attiva
nell’alunno capacità relative al saper fare, insegna a progettare e produrre
oggetti attraverso la manipolazione.
La
scuola della Moratti riduce tutto questo ad un insegnamento da fare in un’ora
settimanale e assegna la disciplina, diventata con termine più moderno ed
adeguato, tecnologia, all’area delle scienze senza differenziarla, quasi a
farne una sua appendice minore.
Ci
sarà dunque una classe di concorso che comprenderà entrambe le discipline,
entrambe le competenze in un unico docente?
Non
siamo d’accordo: scienza e tecnologia fanno parte di due culture, di due
pratiche distinte, quella scientifica e quella tecnologica.
L’una
studia le leggi del naturale, analizza, osserva, sperimenta, formula teorie,
l’altra usa le leggi naturali per produrre trasformazioni, progetta per
costruire, produce oggetti, manipola.
La
formazione culturale e le attitudini divergono nettamente e non necessariamente
convivono.
Non
siamo d’accordo con il prof. Bertagna quando dice che l’educazione
tecnologica deve diventare modalità educativa filtrando nell’attività
ordinaria di tutti. E’ un bel modo per dire che se tutti devono garantirla,
nessuno se ne prenderà la responsabilità, nessuno stabilirà obiettivi,
contenuti, verifiche, attività di questa disciplina. Si sfumerà
nell’indefinito, mentre i docenti che ne hanno la competenza verranno
sottoutilizzati, magari per le mense o per le supplenze. Nell’unitarietà del
sapere, tutto può diventare strumento, tutto filtra nell’attività ordinaria,
tutto è trasversale.
Non
siamo d’accordo: 17.000 docenti di educazione tecnica che si sono costruiti
nel tempo una professionalità garantendo in molti casi anche dei laboratori di
informatica, oggi vivono una situazione di parcheggio professionale
insostenibile per la loro dignità.
Riteniamo
che la tecnologia debba riacquistare autonomia e dignità culturale, e che si
debba tener conto del percorso di ricerca e formazione che i docenti di
educazione tecnica hanno compiuto in questi anni mettendo a frutto esperienze di
insegnamento di qualità.
Con
uguale forza e determinazione pensiamo però che non vi sia salvezza per la
disciplina di educazione tecnica al di fuori di un dissenso generale sul modello
di scuola introdotto dai dispositivi Moratti che riducono fortemente l’offerta
formativa relativa a tutte le discipline dequalificando la scuola pubblica.
Lavoriamo
per una prospettiva in cui il tempo scuola non sia una variabile dipendente dal
risparmio che si vuol produrre sulla scuola, solo così potremo seriamente
affrontare un discorso sulle discipline che valorizzi, invece di penalizzare,
anche la cultura tecnologica da cui non può prescindere nessun modello
didattico.
Roma, 14 ottobre 2004