TRASFORMIAMO GLI ALIMENTI

 

Questa attività è stata realizzata con i ragazzi della classe seconda, in collaborazione stretta con l’insegnante di scienze. Si presta a numerosi interventi piuttosto diversificati, ma che permettono ai ragazzi non solo di partecipare attivamente, ma anche di approfondire conoscenze nuove, fare considerazioni sulle proprie abitudini alimentari, attivando così la coscienza di un consumatore più attento a quello che acquista.

 

Obiettivi:

1.      Conoscere le caratteristiche principali di alcuni cibi

2.       Riprodurre le fasi tecnologiche necessarie per l’ottenimento di alcuni alimenti

3.       Capire la differenza tra lievito chimico e lievito naturale

4.      Individuare le diverse operazioni effettuate col latte

4.       Riconoscere l’uso dei solventi nei procedenti tecnologici per l’estrazione dell’olio dai semi.

Contenuti

Il pane, come si ottiene, la sua lievitazione e cottura; le farine integrali e raffinate; il glutine.

Il formaggio, come si ottiene; il formaggio filato (mozzarella), la ricotta, il burro.

Gli oli di semi; valutazione del contenuto di olio in semi diversi, l’olio delle patatine fritte.

Questa esperienza didattica è realizzata in due fasi una teorica, conoscitiva sia delle caratteristiche più salienti dei prodotti, sia indicativa delle varie fasi tecnologiche che ci permettono di ottenere il cibo trasformato ed una fase pratica che ci permetta di vedere concretamente quanto appreso, attraverso delle opportune esercitazioni di laboratorio.

Qui riporterò per ciascun alimento trattato, solo la parte pratica. Per la parte più teorica si rimanda a: www.educambiente.it/conosciamo_alcuni_cibi.htm .

Il Latte

Per quanto riguarda il latte i suoi  i derivati si ottengono, facendo coagulare la caseina con un enzima, si ottiene il formaggio; se si fa fermentare il latte con dei bacilli si ha lo yogurt; separando la panna dal siero si ha il burro.

In laboratorio è possibile riprodurre tutti derivati del latte.

Il formaggio si può ottenerlo seguendo semplici istruzioni:

1)      riscaldamento del latte a 38° C,

2)      aggiunta, secondo le indicazioni, del presame (caglio) da acquistare in farmacia, 

3)      coagulazione del latte,

4)      rottura della cagliata,

5)      separazione della cagliata dal siero mediante un canovaccio a maglie larghe o raggruppandolo con pazienza con le mani, 

6)      messa in una forma opportuna, munita di fori di scolo, con sopra dei pesi,

7)     salatura superficiale e maturazione (5 giorni circa), coperto da un canovaccio, in ambiente freddo e aerato.

Utilizzando 15 litri di latte fresco intero, si ottiene circa 1 kg di formaggio; al posto del caglio (o presame) della farmacia,  si può provare ad usare il succo di alcune piante: caglio (Gallium verum L.) e monachina (Ornithogalum umbellatum L.), così come facevano i nostri pastori quando non avevano il presame.

Una piccola parte della cagliata messa nel recipiente, può essere utilizzata per essere bollita e maneggiata in continuazione, per ottenere il formaggio filato cioè la mozzarella.

Il siero è messo a bollire (85° C), con l’aggiunta di succo di limone, per ottenere fiocchi di ricotta che affiorano in superficie che vengono raccolti con un opportuno utensile.

Mettendo in un recipiente ermetico da un litro e mezzo, mezzo litro di panna pastorizzata, aggiungendo alcune gocce di limone (30-40), dopo aver chiuso il barattolo, si agita in continuazione, si ottiene una massa solida che è il burro, il quale poi deve essere risciacquato con acqua fredda.

Ovviamente poi si assaggia per conoscere i sapori.

 

 

Il pane

In laboratorio si prepara il pane in apposite forme, già oliate per facilitarne il distacco. Si preparano impasti con lievito naturale e con lievito chimico (bicarbonato di ammonio), per poi verificare nella fase ispettiva le diversità delle bolle lasciate dai gas di fermentazione (irregolari, diversificate e più grosse con quello naturale, regolari e più piccole con quello chimico).

Al momento dell’assaggio si fa provare l’effetto della ptialina, enzima della saliva, che permette, dopo una masticazione accurata, la scissione dell’amido in zuccheri più semplici (maltosio e glucosio), dal caratteristico sapore dolce.

Per verificare la presenza del glutine, si prende nella stessa quantità, farina di grano tenero e di grano duro, si aggiunge acqua in uguale misura fino a formare due piccoli impasti. Sottoponendoli ad una lavatura continua, sotto il rubinetto, avendo cura  di lasciar cadere proprio un filo d’acqua, si rimuove in continuazione l’impasto, fino a quando l’acqua che lo colpisce non rimarrà trasparente, per la completa eliminazione dell’amido. Rimarranno due masse mollicce e filamentose, che si potranno confrontare: è il glutine contenuto nelle due farine.

Gli oli di semi

Gli oli di semi vengono ricavati da semi di diverse piante (girasole, arachide, mais, sesamo, colza, vinacciolo, malva, cotone…) con processi di estrazione mediante solventi ad alta volatilità (benzina, esano, trielina…).

In laboratorio si possono prendere vari semi, noci, mandorle, arachidi, girasole, mais, frumento; dopo averli sgusciati, si sfarinano in un normale macinacaffé; si pesa uno stesso quantitativo di farina e lo si mette in alcune provette di laboratorio. Qui si aggiunge una stessa quantità di solvente ( benzina rettificata, benzolo), si chiudono le provette, si agitano bene, si lascia decantare. Con un contagocce si lascia cadere la soluzione (5 o 6 gocce), in un medesimo punto di una carta assorbente. Si ha così la possibilità di mettere  confronto gli aloni lasciati dagli oli, verificandone la quantità contenuta nei diversi semi.

Si può estrarre nella stessa maniera, l’olio di un sacchetto di patatine (almeno mezzo chilogrammo, frantumate); si filtra e si lascia la soluzione alla finestra fino a completa evaporazione del solvente; rimane un olio rossastro appiccicoso.

 

La parola agli allievi

Il pane

Gli ingredienti sono: farina, acqua e lievito.Una nonna diceva, che il pane va fatto col “cuore” perché va trattato con cura e maneggiato molto.

Abbiamo sciolto il lievito naturale in cubetti, con un po’ di acqua tiepida, al centro dell’impasto. Abbiamo mossa tutta la farina aggiungendo l’acqua necessaria fino ad ottenere una massa omogenea e abbastanza plastica.

Si sono oliati i contenitori e abbiamo modellato le forme, avendo cura di praticare dei tagli superficiali col coltello, per permettere l’aumento di volume, con la lievitatura che è stata ottenuta mettendo il pane in una zona calda (al sole dentro un sacchetto nero).

Quando il pane ha circa raddoppiato il suo volume, lo abbiamo messo nel forno molto caldo per più di mezz’ora. La superficie dei pani si è imbrunita a causa della caramellatura degli zuccheri che si sono ottenuti dalla divisione dell’amido per effetto della temperatura.

Abbiamo provato a farlo col il lievito chimico per pizza; la differenza è stata che una volta impastato il pane è stato subito messo nel forno dove avviene l’effetto del lievito durante la cottura.

Questo una volta cotto e tagliato appariva con i vacuoli piuttosto uniformi e piccoli, mentre quello col lievito naturale i fori erano piuttosto diversi: sono questi che danno la consistenza soffice al pane. Il prof. ci ha fatto fare anche il pane con le olive nere. Tutto per circa tre chilogrammi di farina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lievitatura “solare”                                                                              Pani con lievito naturale

 

 

 

   Pani con lievito chimico

 

 

 

 

 

Glutine

Un altro gruppo di noi ha estratto il glutine da due tipi di farina diversa: di grano tenero, e di grano duro. Pesati sulla bilancia di precisione 100 grammi di farina l’abbiamo impastati separatamente con la stessa quantità d’acqua, fino a farne una piccola palla. Poi sono andati sotto i rubinetti del laboratorio dove il prof aveva aperto un filo d’acqua, che cadendo sugli impasti continuamente mossi, ha portato via l’amido, imbiancandola. Abbiamo dovuto fare questa operazione per diverso tempo, fino a quando l’acqua che usciva dalle nostre mani non è diventata di nuovo trasparente, perché si era trascinata via tutto l’amido. Quello rimasto e il glutine, la proteina del grano, che ha una consistenza come la gomma da masticare. Ovviamente il grano duro è apparso con una maggior quantità di glutine rispetto al grano tenero.

 

 

 

 

 

 

Formaggio e ricotta

10 litri di latte fresco intero, sono stati messi sul fornello e portati ad una temperatura di 40°C. A questo punto abbiamo aggiunto la giusta quantità di presame, il caglio costituito da una soluzione acquosa di stomaco di vitello liofilizzato.

Dopo qualche minuto abbiamo visto il latte “stringersi” e formare la cagliata. A questo punto con una colino grosso, abbiamo raccolto tutto il coagulo e messo in un recipiente a maglie in modo tale che il siero potesse essere eliminato; pressato e salato in superficie abbiamo messo la nostra forma nella parte bassa del frigo.

Una settimana dopo lo abbiamo assaggiato: era proprio buono.

Nel siero rimasto nel pentolone abbiamo aggiunto alcune gocce d’aceto e lo abbiamo portato a circa 80°C. la  raccolta dei fiocchi che sono risaliti in superficie, ci ha permesso di ottenere una piccola quantità di ricotta, assaggiata lì per lì, da tutti noi.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La cagliata e si sta preparando la ricotta                                                              Assaggio della ricotta

 

 

Gli oli di semi

Un ulteriore gruppo ha provveduto a sgusciare alcuni semi di noci, mandorle, nocciole, arachidi e pinoli. Pesati 10 grammi di ciascun tipo di seme, li hanno macinati col macinacaffè elettrico ottenendo una specie di farina che veniva messa in provette diverse per ogni seme. Il prof. ha aggiunto la stessa quantità di trielina e ha scosso il tutto. Una volta lasciato posare con il contagocce , ha lasciato cadere in dei tovaglioli bianchi lo stesso numero di gocce.

Una volta evaporato il solvente abbiamo avuto modo di notare gli aloni rimasti e confrontarli fra loro; quello più scuro è il seme che contiene più olio.

Un altro gruppo ha sminuzzato un pacco di patatine fritte, quelle che di solito mangiamo: le ha messe in un recipiente dove e stato aggiunto una discreta quantità di solvente. Dopo un po’ di tempo abbiamo filtrato tutto, con un colino a maglie strette per trattenere le patatine dalla soluzione.. Questa è stata messa in un recipiente di vetro, largo e basso e posta alla finestra per far evaporare tutto il solvente . Dopo tre giorni è rimasto un olio rosso scuro, appiccicoso,  che proprio ci ha fatto venire il disgusto per le patatine.

 

Sfarinatura semi    

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aggiunta del solvente                                                                     I nostri risultati

 

Conclusioni

Solitamente come docente ero abituato a realizzare questo lavoro didattico con le classi terze. La possibile ed efficace collaborazione con l’insegnante di scienze, ha permesso una maggior sinergia tra le due discipline, con la  conseguente  migliore  ricaduta nei confronti dei ragazzi di seconda.

Il laboratorio di alimentazione si presta non solo ad un reale apporto sperimentale, ma ad una vera giostra pluridisciplinare di interventi: dalla chimica alla biologia, dalla tecnologia alla merceologia, dalle scienze del corpo alla controinformazione.

Il risultato è stato il notevole interesse mostrato da parte dei ragazzi, la loro particolare partecipazione , anche dei più scostanti e disinteressati.

Altro aspetto importante che vorrei sottolineare è che spesso quando pensiamo ad una sperimentazione di laboratorio, ci vengono in mente chissà quale strumentazione: materiale comune, attrezzi ordinari seppure da cucina, perché no, un po’ di fantasia, sono gli ingredienti per una stimolante  prova sperimentale.

      

 

Visitatori

Per saperne di più:

www.educambiente.it/informazione_alimentare.htm

www.educambiente.it/conosciamo_alcuni_cibi.htm

www.educambiente.it/giornale.pdf

Fermignano 21.10.2009

Giuseppe Dini